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La lotta di classe dopo la lotta di classe
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Gallino, Luciano <1927-2015>

La lotta di classe dopo la lotta di classe

Roma ; Bari : GLF editori Laterza, 2012

Abstract: La caratteristica saliente della lotta di classe alla nostra epoca è questa: la classe di quelli che possiamo definire genericamente i vincitori sta conducendo una tenace lotta di classe contro la classe dei perdenti. Dagli anni Ottanta, la lotta che era stata condotta dal basso per migliorare il proprio destino ha ceduto il posto a una lotta condotta dall'alto per recuperare i privilegi, i profitti e soprattutto il potere che erano stati in qualche misura erosi nel trentennio precedente. Questo è il mondo del lavoro nel XXI secolo, così è cambiata la fisionomia delle classi sociali, queste sono le norme e le leggi volute dalla classe dominante per rafforzare la propria posizione e difendere i propri interessi. L'armatura ideologica che sta dietro queste politiche è quella del neoliberalismo, teoria generale che ha dato un grande contributo alla finanziarizzazione del mondo e che ha avuto una presa tale da restare praticamente immutata nonostante le clamorose smentite cui la realtà l'ha esposta. La competitività che tale teoria invoca e i costi che la competitività impone ai lavoratori costituiscono una delle forme assunte dalla lotta di classe ai giorni nostri. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: aumento delle disuguaglianze, marcata redistribuzione del reddito dal basso verso l'alto, politiche di austerità che minano alla base il modello sociale europeo.

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Utente 56
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Testo chiaro non accademico ma rigoroso e stringente nelle argomentazioni; da leggere e consigliare in particolare a chi è ancora convinto che il concetto di classe sia superato

P37483
32 posts

Chiaro, ricco di cifre, avvincente come un romanzo, incalzante come un report d'attualità.
Con voce limpida e ferma il professore parla, scopre, svela omissioni, silenzi colpevoli, disinformazione, storture varie, confronta e incrocia dati, ci dà qualche chiave di interpretazione valida per il presente e non solo. Lettura che non può mancare a chi crede che va tutto bene, o quasi, e anche a chi non crede che vada tutto bene così.

P251021
6 posts

Il primo impatto con questo testo può definirsi DEVASTANTE.
Perchè riposiziona le nostre percezioni del mondo attuale, frammentarie e condizionate da un punto di osservazione non favorevole, in un quadro organico e credibile, in una rappresentazione stabile e completa.
E la prima reazione è drammatica: mioddio, è molto peggio di come la pensavo; non c'è più speranza.
La lotta di classe condotta dalla parte più ricca del mondo (una frazione ultraminoritaria di esso, che si impossessa in maniera crescente e progressiva di tutti i beni, tutte le risorse, tutti i vantaggi) contro la parte più povera (il resto del mondo, con 1,5 miliardi di "perdenti" che hanno ancora un livello di vita decente, anche se si approssimano a perderlo, e 5 miliardi di persone che non hanno e non hanno mai avuto speranza di raggiungerlo) si svolge con una tale disparità di forze che non vi è, al momento ed per il futuro, alcuna ragionevole speranza non solo di capovolgere le sorti, ma persino di sviluppare una qualche forma di resistenza da parte di chi sta soccombendo.

Il predominio dei ricchi contiene anche un senso di "riconquista" rispetto agli spazi conquistati dalle altre classi sociali nei primi decenni dopo il secondo conflitto mondiale, quando l'ideologia neoliberista era in qualche modo domata dai due lati da una visione politica liberale e socialdemocratica, e dalla presenza di un possibile "altro mondo" (comunista) che, con tutti i suoi limiti, dimostrava di esistere e di manifestare una forza notevole sia in termini economici che culturali.
Dagli anni '90, ma soprattutto a partire dalla crisi economica scoppiata nel 2007 (imputata al debito pubblico degli stati, ma in realtà generata dal disimpegno civile delle classi dominanti, che attraverso la politica si sono esentate dal fornire risorse a tutto ciò che è pubblico), tale "riconquista" ha prodotto la progressiva distruzione dello Stato Sociale, la maggior costruzione civile europea, con la cancellazione di tutte le misure di protezione che le fasce deboli erano riuscite ad ottenere contro le disavventure della vita (la vecchiaia, la malattia, gli infortuni, la assenza di risorse per studiare, avere casa, ecc...); e si è portata dietro l'annullamento della democrazia, ormai ridotta a puro simulacro e sostituita (come si vede da noi) da commissariamenti che si presentano come "indispensabili", per continuare l'opera di devastazione dei diritti e dello Stato Sociale, basandosi sulla menzogna che il suo mantenimento sia causa della crisi.
Inoltre, l'analisi rivela impietosamente che non esiste, ad oggi, una forza politica organizzata in grado di rappresentare efficacemente (tale da intraprendere un conflitto che possa sperare di cambiare le sorti della lotta) le ragioni e le istanze delle classi perdenti, perchè l'egemonia culturale esercitata negli ultimi decenni dalle classi vincenti ha sedotto completamente le forze di sinistra presenti nel mondo occidentale, rendendole incapaci (anche in seguito al crollo definitivo del sogno comunista) di credere che un'altro mondo ed un'altra società siano possibili e realizzabili.
Quindi, il quadro che abbiamo di fronte sembra - anzi, E' - del tutto desolante.
Ma ci sono due elementi che, alla fine, mi inducono ad un moderato ottimismo.
La prima è che Gallino, confutando la nota tesi che "non esistono più le classi sociali", indica chiaramente che si tratta solo di un errore prospettico: le classi esistono ancora, esistono eccome, ed una, quella dominante, sta facendo la lotta di classe (perchè è consapevole di essere classe) contro la massa immensa dei perdenti (che non reagiscono perchè non hanno nemmeno più la consapevolezza di esserla, una classe).
Certo, l'appartenenza alla immensa classe dei perdenti non è più data -ad esempio - da segni visibili di appartenenza o di esecuzione di un particolare tipo di lavoro: ieri era facile riconoscersi, tra operai, come classe.
Ma oggi, cosa accomuna operai, cassintegrati, licenziati, giovani disoccupati, insegnanti, impiegati, operatori di call center? Cosa li rende vicini?
E' quella che Gallino chiama "la comunanza di destino".
Tutte queste componenti sociali sono infatte accomunate da un orizzonte in cui:
a) il proprio progetto di vita è stata costruito sulla prospettiva e sulla presenza di un lavoro salariato a tempo indeterminato e con salario certo che è progressivamente destinato a scomparire o diventare residuale;
b) vedranno accrescersi la condizione di insicurezza economica dovuta allo smantellamento dello Stato Sociale, e cioè alla cancellazione delle protezioni che lo Stato forniva contro gli accidenti che, nel corso della vita, potevano colpire un componente della società (vecchiaia, malattia), ed alla scomparsa degli strumenti che un tempo fornivano la possibilità di promozione sociale e di uscita dalla propria classe - istruzione, lavoro continuativo nello stesso ambito...;
c) per tali componenti risultano ormai impraticabili le forme di mobilità sociale indiretta o lorda, per cui interi settori della società modificavano il proprio status (passando da contadini a operai, ad esempio), ma anche quelle di mobilità sociale diretta dovute all'impegno, al merito ed al talento personale;
d) esse vedono il progressivo ridursi e la progressiva spoliazione di vantaggi, beni, risorse a cui avevano acceduto negli ultimi decenni, sacrificate all'accrescimento delle disuguaglianze sociali ed all'arricchimento smisurato della parte già più ricca della società (si pensi che oggi, in Italia, il 90% delle imposte è pagato dai lavoratori dipendenti e dai pensionati; si pensi che, tra il 1998 ed il 2007, in Italia i salari hanno diminuito la loro incidenza sul PIL nazionale del 9% in media).
Quindi, se riusciamo a riconoscere questo, riusciamo a riconoscere noi stessi come classe e di conseguenza anche la "classe nemica" verso cui rivolgere la nostra attenzione e la nostra lotta, per evitare la guerra tra i poveri ed il pericolo che all'ansia, alla paura ed alla precarietà si diano risposte "di destra" di tipo xenofobo (sul genere Lega Nord o, peggio, Alba Dorata). Quella che si è evidenziata in movimenti come quello degli indignados e di Occupy Wall Street, o in giornate come quella di mobilitazione europea del 14 novembre 2012, sono un segno di questa capacità di riconoscersi: non è sufficiente, ma è un buon inizio.
Il secondo elemento di ottimismo, se volete, è paradossale: la situazione è così terribile, così disperata che QUALSIASI COSA SI FACCIA in termini di elaborazione di contenuti antagonisti al sistema attuale va bene, perchè ci consente se non altro di ritornare ad esercitare una pratica di elaborazione culturale a cui abbiamo abdicato.
In altri termini, la situazione è così terribile, ingiusta, diseguale che possiamo di nuovo sentirci autorizzati a sognare un mondo nuovo senza più il timore di sentirci irriconoscenti verso chi domina la politica e l'economia.

P144945
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imperdibile

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