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Che chi attende l'amore, chi un nuovo affare.

Siamo a Saumur, dov’è quella strada “calda d’estate, fredda d’inverno, buia in certi punti, è notevole per la sonorità del selciato, sempre pulito e asciutto, per la strettezza della carreggiata tortuosa, per il silenzio delle case che appartengono alla città vecchia e sulle quali incombono i bastioni”.

Scudo dopo scudo, lenta scorre la vita a Saumur, in casa Grandet, dove Felix è prigioniero della sua avidità e la figlia Eugénie vittima del suo sogno d’amore.
Papà Grandet è avido e avaro. E ricco. Molto ricco. Solo lui sa quanto. Specula, guadagna. Arricchisce. Ricco di averi e povero di sentimenti. Non conosce amore se non quello dettato dagli interessi. Ama la sua “figlietta” perché custode di tante monete d’oro che splendono come soli, una moneta donata a ogni capodanno e festa del padre. Fruttano una piccola rendita di quasi cento scudi, e Grandet non può che godere a tal pensiero.
A completare il quadro, la rassegnata Madame Grandet e Nanon, serva fedele. Anch’esse piegate al tirannico egoismo del capofamiglia.
E poi c’è lui, l’angelico Charles, il cugino che ruba il più puro e completo dei baci, nonché il cuore alla povera Eugénie, prima di diventare ciò che lo renderà “degno” del cognome che porta.

Balzac non giudica, descrive. Guarda in faccia la “bourgeoisie francaise”; ha le sembianze di papà Grandet. Colui che ruberebbe anche il crocifisso d’oro per portarselo laggiù, nel regno degli avidi e degli avari.
È la rappresentazione di una realtà che va ben oltre il più fosco dei melodrammi.
È La Comédie humaine, bellezza!

Caro Honoré, i segni del tuo vissuto hanno reso grandi gli occhi per scandagliare l’abisso dell’animo umano. E, forse, l’amore che non hai ricevuto, ha esasperato certa sensibilità. Chissà.
Ti voglio bene.

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